La fantasia sta bene con tutto.

Marzia e io eravamo solite trascorrere giornate intere insieme, gironzolando per il paese, raccogliendo "panari" interi di pinoli nel bosco, sbavando per i pomodori messi al sole ad essiccare davanti a ogni ingresso e andando in battaglia nel cortile di casa mia.

Perché l'albero di fico posto nella parte più alta di quello spazio offriva due rami, identici e perfettamente paralleli, dalla forma che ricordava fortemente la sella di un cavallo, di due cavalli, e che, quindi, ci invitava a saltargli in groppa.

E noi, tra una merenda e l'altra, ovviamente a base di fichi, guerreggiavamo alleate.

Non appena mi arrampicavo su quel ramo (io sceglievo quello più alto, in quanto ero quella più grande e, allora, la più alta delle due. Oggi Marzia mi stacca di circa venti centimetri, bontà sua.), non mi trovavo più a Buccheri, ero davvero su un cavallo.

Io lo vedevo proprio, quel cavallo.

E ricordo perfettamente le cavalcate, agitando il braccio alla carica.

Chissà contro chi combattessimo, chissà dove ci trovassimo, non lo ricordo.

Andavamo, comunque, forte e ci divertivamo e ridevamo ed eravamo davvero da un'altra parte.

Ogni pomeriggio, di ogni giorno di ogni mese estivo, in quegli anni.

Ogni giorno, fino al momento, puntuale, in cui andavamo a fuoco, perché venivamo pizzicate alle coscette, lasciate scoperte dai pantaloncini, da un esercito di formiche rosse, agguerrite ancora più di noi.

E allora cominciavamo a "vuciare" e scendevamo in fretta e malamente dalle selle dei nostri cavalli, che tornavano a essere i rami dell'albero di fico del cortile di casa mia, un po' come la carrozza di Cenerentola si ritrasformava in zucca a mezzanotte, e ci scotolavamo ridendo le gambe per liberarci di quell'ondata di punturine, infastidite ma divertite allo stesso tempo.

Questo rituale avveniva, ripeto, ogni giorno.

Questa è l'immagine che mi viene in mente ogni volta che cerco di descrivere la fantasia.



(DLSL_12, dettaglio.
Olio su tela
200x150cm.
Work in progress. Still.)



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